Michael Jordan, l'uomo delle mille sfide
His
Airness, Air Jordan o più semplicemente “the best ever”, il
meglio di sempre. E il meglio di sempre in America nel basket, si
chiama Michael Jeffrey Jordan. Come Pelè e Maradona nel calcio,
Muhammed Ali nel pugilato e Airton Senna nella Formula 1, l’ex
numero 23 dei Chicago Bulls ha rappresentato e rappresenta ancora
oggi un’icona del proprio sport, quello della palla a spicchi.
Tuttavia a differenza di questi grandi campioni, Jordan non nasce
fenomeno, anzi. Le porte che gli si chiudono davanti agli occhi sono
molteplici, ma questo non sarà mai un problema; numero uno assoluto
dal punto di vista tecnico, la vera forza di MJ è sempre stata la
mentalità vincente, la voglia di primeggiare sempre e comunque, in
ogni ambito ed in ogni modo. In questo senso è stato fondamentale
trovare continuamente nuove motivazioni, nuovi stimoli, nuove sfide da
superare. Meglio ancora quando tutti lo hanno dato per spacciato,
perchè tutto ciò ha galvanizzato Michael, che si è sempre
dimostrato pronto a prendersi le sue rivincite.
Alla giovane età di sedici anni gli fu
preferito un certo Leroy Smith nella squadra del liceo. Michael,
sedicenne dalle orecchie a sventola con un naso piuttosto grande, è
forte ma non abbastanza per entrare in una squadra liceale secondo il
coach, che aggiunge: “Guarda Michael, il basket non è lo sport
adatto a te, lascia perdere”; inizialmente il giovane accusa il
colpo, e si iscrive ad un corso di cucito, convinto che non avrà mai
una donna nella sua vita ed è meglio che sappia fare economia
domestica, ma poi raccoglie il guanto di sfida, il primo della sua
vita.
“Se l'allenatore dice che non potrò mai giocare, beh, non solo ci
riuscirò, ma diventerò anche il migliore di sempre.” E' questo il
meccanismo che si innesca nella testa dei più grandi, e quindi è
questo quello che avviene con MJ. Il giovane si allena per un anno
intero, cresce fisicamente e tecnicamente e si ripresenta, ad un anno
di distanza alle selezioni della Laney High School, dove c'è un
nuovo coach che lo accoglie in squadra.Visto che il numero 45 è già
occupato da suo fratello, indossa la 23, quello che rimarrà
nell’imaginario collettivo il numero per eccellenza nella storia
del basket. In breve tempo diventa il miglior giocatore e trascina i
suoi compagni ad un doppio titolo nazionale.
Di
lì in poi nella sua carriera (anche in NBA) per tutti gli
spostamenti, in tutti gli alberghi, prenoterà la sua camera a nome
di Leroy Smith, il ragazzo che gli era stato preferito la prima
volta, come a voler dire a tutti che il giovane Jordan, rifiutato
alla prima selezione è ora il migliore, il vincitore assoluto di
quell'affronto del vecchio coach del liceo.
Ma
torniamo al Jordan ragazzo. Terminato il periodo liceale, inizia una
nuova fase nella vita di Michael, che viene reclutato dall’
università di North-Carolina. MJ ha in squadra compagni molto
quotati, e, specialmente nel primo anno, non trova molto spazio.
Assopito per gran parte dell'anno, il talento esce però fuori nel
match più importante, la finale NCAA. 20 secondi sul cronometro,
Georgetown conduce 62-61 contro North Carolina; possesso per
quest'ultimi, nessuno si assume la responsabilità del tiro,
finchè..... palla nell'angolo per il 23 che, senza palleggiare si alza e spara dalla media distanza. Solo rete e sorpasso decisivo.
Jordan entra nella storia, diventando il primo a segnare un canestro
vincente nella finale NCAA da freshman, ossia al primo anno di
college.
Il
nome di questo prodigioso universitario inizia a circolare
nell'ambiente, fin a che dopo tre stagioni decide di lasciare gli
studi con un anno d’anticipo, dichiarandosi eleggibile per il Draft
Nba. La prima scelta è di Houston che vira su Olajuwon, la seconda
sarà Sam Bowie per Portland. Poi arriva Michael. Lo prendono i Bulls
alla terza chiamata, col senno di poi una follia, un errore
incredibile per le prime due franchigie che perdono la possibilità
di mettere sotto contratto il giocatore più forte di sempre.
Un'altra sfida per MJ che vuole
dimostrare a tutti che il suo talento doveva essere premiato in
maniera diversa. Inizia la vendetta.
Come
al liceo e al college, MJ prende la numero 23 e comincia a dare
spettacolo anche tra i più grandi. Nella post-season del 1986 sigla
un record tuttora imbattuto, che da solo vale la stagione: segna 63
punti contro i Celtics di Larry Bird, che esclamerà a fine partita:
"Penso sia Dio travestito da
Michael Jordan”.
Strapazza
ogni record offensivo, e si rende protagonista di scene incredibili
che testimoniano da sole la sua sconfinata supremazia sul parquet.
Sfide nelle sfide, come quando segna ad occhi chiusi un tiro libero, in maniera provocatoria davanti allo sguardo di Dikembe Mutombo,
oppure come nel 1998 quando i Bulls sono ospiti dei Jazz a Utah:
Jordan schiaccia in testa a John Stockton (alto "solo" 185
cm). Un tifoso si casa si alza ed urla al 23 di provare a schiacciare
in testa ad un avversario della sua stessa taglia, osando pensare che
il re del basket non possa fare lo stesso di fronte ad un antagonista
di maggiore altezza. Un affronto che l'ex ragazzo dalle orecchie a
sventola non tarda a raccogliere già nell'azione successiva,
schiacciando in testa al mastodontico Mel Turpin alto 211 cm e rivolgendo al tifoso con un'occhiata divertita per sapere se era grosso abbastanza.
Sono
solo due degli episodi storici di un uomo vincente prima nella testa
e poi sul campo. Se dubiti di lui stai pur certo che ti farà
rimpiangere di non avergli dato fiducia, la storia di “His
Airness” lo
dice chiaro e tondo. E' per questo che dopo
tre successi in altrettante
stagioni, per un three-peat da sogno, l'idolo delle folle annuncia la
decisione che non t’aspetti: il ritiro dal mondo del basket. Ormai
sa di essere il più forte e non ha più stimoli a “vincere
facile”. A pesare su questa scelta è anche il dramma
dell’assassinio del padre, suo primo sostenitore che avrebbe da
sempre preferito vederlo giocare a Baseball.
Così,
di lì a poco, spinto dalla devozione per il padre e stimolato dalla
voglia di poter primeggiare in un altro sport, entra nel mondo del
Baseball per un’esperienza in cui non lascerà il segno.
Stimoli, stimoli, stimoli, sono poche le cose
che contano così tanto nella vita di uno sportivo, sono poche le
cose che contano così tanto per un vincente come Jordan.
Così,
quando dopo un anno e mezzo gli appassionati ed i giornalisti premono
per un suo ritorno allo sport di cui è il re, e MJ accontenta tutti,
volendo dimostrare al mondo di essere ancora the best one. E' il 18
Marzo 1986 e la giostra ricomincia a girare per i Bulls, che
ritrovano il loro trascinatore. Stavolta sceglie il numero 45, quello
preferito fin da bambino, anche perché il “suo” 23 è stato
ritirato dalla squadra di Chicago. Le cose però non vanno subito nel
migliore dei modi: nei primi playoff dopo il suo ritorno, Jordan
commette alcuni decisivi errori, che permettono ai Magic di vincere
la serie e passare il turno. Sua maestà a questo punto viene di
nuovo messo in discussione; stavolta è Nick Anderson, giocatore di
Orlando, a dubitare del nuovo Jordan, considerandolo forte ma a
livelli inferiori rispetto a quello prima del rivale.
La
storia si ripete. Stuzzicato dal rivale, MJ non solo tornerà al suo
vecchio numero, ma lo farà anche da vincente: dal 96 al 98 arriva il
secondo Three-peat, insieme alla Triple Crown, la prestigiosa e quasi
impossibile impresa dei tre premi: MVP dell'All Star Game, MVP della
stagione regolare e MVP delle finali, vinte contro i Seattle
SuperSonics. Altro Three-peat, altro ritiro. Sono troppo scarse le
motivazioni di Michael per continuare, visto che ormai non ha più
nulla da dimostrare.
Tuttavia anche in
quest’occasione per MJ il saluto alla NBA sarà un arrivederci e
non un addio. Torna infatti in campo nel 2001, per due stagioni nel
corso delle quali partecipa agli ultimi All-Star Games della
carriera.
Ora Michael ha 50 anni ed
è proprietario di una franchigia, quella di Charlotte. Secondo un
recente retroscena Michael Kidd-Gilchrist, cestista proprio dei
Bobcats, lo ha sfidato in un 1 vs 1 al campo d’allenamento. La
storia l’ha raccontata il ragazzo, che ha detto: “Non l’ho
presa MAI!”. Non è fisicamente possibile, che un ventenne
esplosivo, che gioca al più alto livello sportivo sul pianeta non la
prenda mai contro un cinquantenne, ma è esattamente ciò che è
successo.
Secondo altre
indiscrezioni, sembra che sul tavolo del suo storico preparatore
atletico a Chicago ci sia un fascicolo dal titolo “How to put
Michael back on the court at fifty” ,ossia “come rimettere
Michael in campo a 50 anni”.
Sicuramente sarebbe una
sfida al limite dell'impossibile, ma come ha dichiarato Michael “mai
dire mai, perchè i limiti come le paure sono spesso solo
un'illusione”.
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