Kevin Durant, quel 35 in onore di Big Chucky



Fisicamente potente, tecnicamente celestiale. E’ questo Kevin Durant, un giocatore pazzesco, capace di ricoprire quasi tutti i ruoli in campo. La storia della stella di Oklahoma, è, come gran parte di quelle dei cestisti americani, un’avventura difficile, piena di sofferenza e sacrifici.



Il padre abbandona la famiglia quando Kevin ha 7 anni, così  il piccolo si sposta nel Maryland, con mamma, nonna, la sorella e i suoi due fratelli Rayvonne e Tony, il più grande, quello che trasmetterà alla futura la stella la passione per lo sport.
Durant, come gran parte della popolazione nera americana, inizia a giocare nel più classico dei campetti “playground”con le retine in ferro, poi  la mamma lo manda al Recreation Center della zona. A gestire il centro c’è Charles Craig, un generoso 27enne che insegna alcuni movimenti ai bambini e gli permette di giocare sostanzialmente gratis. Big Chucky, questo il soprannome dell’uomo, vede di buon occhio il ragazzone dall’altezza smisurata e lo prende sotto la sua ala protettiva, seguendolo anche quando passa ai Jaguars, squadra dell’Amateur Athletic Union.
Proprio qui conosce per la prima volta Michael Beasley, con cui stingerà una grande amicizia che dura anche oggi. Il giovane Michael, testa calda già da allora, viene portato al campo da un amico e, nemmeno il tempo di iniziare, che viene allontanato dal coach; andandosene, Beasley, si appropria del cartone di pizza calda per tutti e se lo porta via. Alla domanda di KD qualche giorno dopo sul perchè di quel gesto, Michael risponderà che non sapeva quando avrebbe potuto mangiare di nuovo, la sua famiglia era povera, poteva a stento nutrire il figlio e quel cartone era un’occasione che difficilmente si sarebbe ripresentata. Fu subito amore, i due non si staccarono più, tanto che, una volta riammesso in squadra, Michael andrà ogni giorno al campo con Kevin, fermandosi prima a fare colazione a casa del suo nuovo compagno.
Durant e Beasley si abbracciano dopo un Rookie All Star
La successiva carriera liceale di KD è piena di squadre, con il ragazzo che cambia varie scuole, ma con un’unica costante: il rendimento da fenomeno. I gironali iniziano a notare questa giovane promessa, e gli dedicano i primi pezzi. Tra i vari trasferimenti Durant approda alla Oak Hill, dove passa il periodo più difficile. Arriva infatti la notizia della morte di Big Chucky, rimasto coinvolto in una sparatoria nel tentativo di sedarla. Kevin soffre molto  per questo e decide di onorare il suo amico-mentore indossando la 35, numero corrispondente agli anni di Big Chucky e alzando occhi e braccia al cielo dopo ogni canestro:Voglio far sapere a più persone possibili il motivo per cui ho scelto questo numero. Il mio obiettivo è non farlo dimenticare, tenere vivo il suo ricordo”.
Tra le varie proposte universitarie, sceglie Texas, con cui riscrive molti record NCAA. Gioca un solo anno al college, rendendosi eleggibile al draft nel 2007. La prima scelta assoluta è Oden, Durant è secondo. Le ginocchia di KD però tengono, ed i Seattle Supersonics se ne rendono subito conto. E’ Rookie of the Year e la sua crescita esponenziale prosegue anche ad Oklahoma, dove la franchigia si sposta l’anno successivo.
KD con la maglia sei Sonics
La sua fama cresce sempre più, il talento è cristallino. Spara triple a ripetizione, segna con facilità irrisoria ed il suo fisico gli permette ciò che vuole. L’unico problema è Lebron. In molti li mettono in competizione, etichettando KD come uno destinato ad essere un eterno secondo. L’asso dei Thunder sviluppa una sorta di ossessione e vuole così migliorarsi ad ogni costo, vuole diventare il numero 1. Si, ma come?
Si affida ad un personal trainer. Quando un campione del genere cerca un allenatore personale, pensi possa arrivare il classico santone dall’esperienza infinita, che ne ha viste di tutti i colori e con un curriculum da far invidia anche ad alcuni coach Nba.

Niente di più sbagliato. Il suo uomo si chiama Justin Zormelo,un 29enne studente di Georgetown, che non ha mai giocato a Basket. Il suo lavoro è prettamente statistico, un’accurata analisi dei possessi di Durant, le percentuali e le posizioni dei tiri presi, segnati e sbagliati. Al di là dello scetticismo di molti i miglioramenti ci sono, e sono anche evidenti. Zormelo acquista credibilità e trova altri clienti; dall’altro lato invece, Kevin Durant appare sempre più lanciato verso il titolo di MVP. Il resto della storia è ancora da scrivere….

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