Il Bello e la Bestia

Storia di un rapporto unico tra uomini veri, con due idee di calcio totalmente opposte, in apparenza

“E guardalo l’allenatore, da cinquant’anni appresso ad un pallone
su una panchina calda come il sole
e un freddo gelido quasi polare….
e guardalo l’allenatore
a bordo campo pronto a cominciare,
determinato nel voler cercare
una vittoria che lo puo’ salvare”
Chissà se scrivendo il testo di questa meravigliosa canzone, Gianni Morandi abbia tratto ispirazione, anche solo parzialmente, da Carletto Mazzone.
Quel che è certo è che “er Sor Magara”, come venne ribattezzato nella capitale per la sua parlata romana, mezzo secolo in panchina lo ha trascorso sul serio. Senza esagerazioni.
La carriera come un puzzle, composto da 12 tasselli, le città in cui con il suo carattere sanguigno, acceso e passionale, ha sempre lasciato un buon ricordo a livello umano. Un corollario di incarichi vastissimo, l’aspetto burbero ed uno stile che lo hanno sempre portato ad essere considerato catenacciaro, profeta della vecchia scuola, di un calcio brutto, antico, bestiale.
Alle accuse Carletto ha sempre risposto con uno dei suoi tanti aforismi: “La tecnica il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri.”
Un fare di necessità virtù elevato a mantra personale, tipico di chi non ha mai fatto parte della più alta borghesia, né quella calcistica né quella sociale.
Essere e apparire brutti non vuol dire non saper amare il bello, non significa non saper ammirare Totti prima e Baggio poi. Come chi di solito mangia piatti buoni ma meno ricercati in trattoria, comunque capace di assaporare tutta la prelibatezza di un’ostrica o di una portata più raffinata.
Come la bestia amava Bella in un amore da fiaba che per una volta si fa realtà, così Mazzone con il Divin Codino. Due personaggi così lontani a livello calcistico, così vicini a livello umano. Una sinergia unica, irripetibile. Una relazione simile a quello tra un padre ed un figlio, per stessa ammissione di Baggio:
Ho conosciuto molti allenatori. Alcuni erano bravi, altri meno. Con alcuni, la maggioranza, ho legato. Con Carletto Mazzone, l’uomo che mi sarebbe piaciuto incontrare prima, è stato feeling a prima vista. Era completamente naturale. L’allenatore che avevo sognato: schietto, sincero, lontano da ogni ipocrisia, da ogni invidia, totalmente insensibile al fascino del potere autoritario, alle adulazioni interessate. Se il calcio fosse popolato da tanti Mazzone, sarebbe ancora quello che appariva ai miei occhi di bambino, lo sport più bello del mondo. I talenti che non avrebbero timore di manifestarsi, i giovani non avrebbero fretta nel maturare, i professionisti onesti saprebbero che c’è qualcuno su cui fare conto”.
Una stima sincera, che vale quanto un trofeo, come quelli che er sor Magara non è riuscito a vincere.
Come quelli che ha vinto Guardiola, suo ex giocatore a Brescia, che gli dedicò la Champions sollevata nel 2009.
Evidentemente la bestia che sa amare il bello, dal bello riesce anche a farsi amare. In egual misura, con uguale intensità.

Commenti

Post più popolari