La più forte nazionale mai realmente esistita

La storia del “Brasile d’Europa”, una squadra fortissima che per varie vicissitudini non poté mai esprimere tutto il suo talento

“Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”, un motto eloquente, una certificazione assoluta che nei paesi balcanici la storia del calcio è inscindibile dai trascorsi geopolitici che ne hanno caratterizzato l’evoluzione. Dalla grande ex Jugoslavia, formata sotto la guida del maresciallo Tito, alla caduta della repubblica federale socialista, una transizione fatta di guerra, conflitti, divisioni politiche ma anche religiose.
Una spaccatura interna fortissima, che troppo presto ha privato l’intero mondo dell’opportunità di ammirare quella che sarebbe stata una delle nazionali più forti di sempre, il “Brasile d’Europa”.
Artisti del pallone come Stojkovic, Mijatovic, e Jugovic, menti geniali come quelle di Savicevic, Boban e Prosinecki, attaccanti sensazionali del calibro di Suker, Pancev e Boksic, oltre a giocatori difensivi dal piede educato come Katanec e Mihajlovic. Un calderone di tecnica, agonismo e personalità.
Un mix vincente nei mondiali Under 20 del 1987, una squadra formidabile, che alimentò le speranze jugoslave per Italia 90.
Un destino ben diverso però, era già in itinere. In campo cresceva l’intesa, fuori prendevano piede i partiti nazionalisti.
La Croazia fu la prima a pensarsi come stato a sé stante e la vittoria del partito nazionalista alle elezioni lo testimoniava. A un mese dalla coppa del Mondo, durante Stella Rossa-Dinamo Zagabria i consueti scontri tra tifoserie si fanno più feroci, carichi di un significato diverso, dai contorni ben più preoccupanti. L’atmosfera è tesa anche in campo, il celeberrimo calcio del croato Zvonimir Boban ad un poliziotto serbo passerà alla storia come uno dei simboli più evidenti della separazione.
Dunque, quando la nazionale si presenta nel Belpaese nessuna scissione ufficiale è realmente avvenuta, ma è chiaro che qualcosa si è rotto. Boban è stato squalificato per sei mesi, mentre nel match decisivo Katanec, minacciato di morte, chiede ed ottiene di essere escluso. L’apporto croato è limitato a soli tre giocatori: Prosinecki, Vulic e Vujovic.
Gli Slavi fanno comunque bella figura, passano bene il girone e vengono eliminati solo da Maradona e compagni, per giunta ai rigori. La campagna in Italia è un’assoluta dimostrazione di forza di questa giovane Jugoslavia, che con la crescita di alcuni suoi talenti inesperti potrebbe dominare il calcio europeo. La Coppa Campioni vinta l’anno dopo dalla Stella Rossa prima e la Coppa Intercontinentale poi, ne sono la riprova.
Non solo la maturazione dei giovani fa però il suo corso, anche la storia fatta di ribellione, spinte nazionaliste e guerra va avanti. La Croazia raggiunge l’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, così come la Slovenia.
A poche settimane dagli europei del 1992 la situazione balcanica è incandescente, l’ex Jugoslavia si sta disgregando inesorabilmente. I giocatori sono comunque pronti a scendere in campo, la rosa nonostante l’addio dei croati è competitiva, ma non è una nazionale.
Una selezione nazionale di solito unisce un paese, non esalta le spaccature. Quella Jugolslavia invece rappresenta gente che si sta facendo la guerra nei propri territori, rappresenta persone che non si sopportano più, che non vedono la bandiera come qualcosa di cui andare fieri, quanto piuttosto come qualcosa da cui separarsi.
Il patriottismo è rimasto immutato, l’idea su quale sia la propria vera patria no, quella è drasticamente cambiata.
Illimitata grandezza individuale, grandiosi limiti collettivi, il contrappasso dantesco di avere i più grandi solisti nello sport di squadra per eccellenza, per di più ognuno legittimato a rappresentare sé stesso, la propria idea e la propria appartenenza ad una diversa nazione.
L’Onu ordina, l’Uefa esegue, la Jugoslavia viene esclusa da Euro 92. La fine è sancita. In sostituzione partecipa la Danimarca, che inizia la sua meravigliosa e vincente favola, ironia della sorte laddove termina quella del “Brasile d’Europa”, la squadra più forte che non è mai realmente esistita.

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