Stadio Pierluigi Penzo, dove il calcio “galleggia” in laguna

Uno scenario surreale e romantico, il football a Venezia rispecchia la città


Barche ormeggiate nel diporto velico, alberi dondolanti di imbarcazioni spoglie da vele, il campanile di Sant’Elena che con successo sfida in altezza i riflettori dei distinti sud.

La visuale che regala una partita di football a Venezia, non è limitata al campo di gioco, c’è di più.

Un poetico scenario di calcio lagunare, un’applicazione allo sport di quel romanticismo che è intrinseco nella “Serenissima”.

Una struttura ultracentenaria, seconda per anzianità solo al Ferraris di Genova.

Lo stadio veneto però, a differenza dell’impianto ligure, gli anni li dimostra tutti; decadente in alcuni punti, fatiscente in altri, non può esser certo preso come esempio architettonico di modernità, ma il contesto prevarica ogni cosa.

Giocare sulla riva del mare, affacciarsi dalla tribuna e vedere il sole riflettersi sull’acqua, navi che sbarcano, innamorati che nelle gondole gongolano tra i fatati canali.

Brutto a vedersi da fuori, bello per vedere (il panorama) da dentro. Il contrasto che fa del Penzo uno stadio difficilmente paragonabile ad altri.

Un’arena che merita rispetto, con una storia ricca di difficoltà. Le trombe d’aria, ristrutturazioni, modifiche, capienza aumentata e diminuita praticamente a stagioni alterne, in base alla categoria di militanza della compagine di casa.



Una costante unica, quel tocco di magia dovuto alla collocazione nell’isola di S.Elena, non fosse altro per la singolarità che il pallone scaraventato in tribuna finiva spesso il suo percorso in acqua.

Non solo poesia però,in laguna sono passati anche tanti campioni: da Mazzola a Loik che vinsero la Coppa Italia, per poi passare al grande Torino e farne la fortuna. Da Ferruccio Mazzola, fratello del piu’ famoso Sandro, fino al ”cino” Recoba, che qui dimostrò tutta la sua classe e fece innamorare Massimo Moratti.

L’ultimo calciatore di un certo livello, prima dell’inizio del declino. La fusione con gli acerrimi rivali del Mestre, la ribalta nazionale e lo smarrimento definitivo dovuto all’addio di Maurizio Zamparini, ad inizio millennio. 

Venezia sedotta e abbandonata, un sacrilegio anacronistico nella città degli innamorati.

L’imprenditore friulano prese anche il Palermo e vi girò mezza squadra, in un atto che a piazza San Marco definirono “il furto di Pergine”. Il club dichiarato fallito da lì a qualche anno, una serie di passaggi di proprietà e vicissitudini poco piacevoli.

Periodi di alta e bassa marea, un continuo galleggiare per la sopravvivenza di chi del galleggiare ne fa uno stile di vita. Non solo a casa, ma anche allo stadio.

Poco importa però che negli ultimi anni le sorti neroarancioverdi siano meno fortunate; durante la partita, se le cose vanno male, basta distogliere lo sguardo dalla gara e dare un’occhiata in laguna, consolarsi con il fiabesco scenario circostante, vagare con l’immaginazione, magari in gondola, magari in nave, comunque verso altri lidi, quelli dove solo le fiabe possono condurre.

Se è vero che il calcio è poesia, è innegabile che lo stadio Pierluigi Penzo sia una bella location per trarre ispirazione.

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