La parola d'onore de "El mudo" Riquelme

Le parole come il pallone, da dispensare con intelligenza e maestria, senza correre il rischio di distribuirle a caso

Il linguaggio del calcio è universale, un codice che da a tutti la possibilità di esprimersi e di capirsi, anche se si è di diverse nazionalità, anche se si è soprannominati “El mudo”.
Un nomignolo ben noto a tutti i calciofili, che richiama subito Juan Roman Riquelme; perché alla palla gli si può dare del tu anche senza parlare, perché i piedi così raffinati sanno essere eloquenti, senza bisogno di commenti ulteriori.
Un anno esatto dal suo ritiro, 365 giorni da quel saluto definitivo ad un mondo che ha sempre apprezzato le sue doti sul rettangolo verde, ma probabilmente non è mai riuscito a comprenderlo veramente, non è mai riuscito ad interpretare correttamente i suoi silenzi.

Giocate di classe, tocchi di fino, un ritmo compassato. El ultimo diez secondo gli argentini, l’ultimo vero numero 10, di quelli che non corrono dietro, di quelli che giocano solo quando hanno il pallone, di quelli che hanno il calcio prima nella testa e poi nei piedi.
Contrariamente a quanto si possa pensare, differentemente da buona parte degli argentini, il suo modo di giocare è sempre stato “nobile”, poco da strada, poco “sucio” sporco.
Quel paragone inevitabile con Diego Armando Maradona, di cui ha ricalcato il percorso tra Argentinos Juniors, Boca e Barcellona. Un confronto ingeneroso che non ha mai cambiato il modo del mudo di vivere la professione, da antidivo, lontano dalle luci della ribalta.
Considerarlo debole o molle però, è quanto di più sbagliato, rappresenta un errore in cui in troppi sono caduti. Coerenza e personalità, il chiaro esempio di poter parlare più con i fatti che con le parole.
Bisogna avere una personalità molto forte per andare allo scontro con l’eroe nazionale, eppure Romàn non ha avuto timore di contraddire Maradona, non ha mai accettato di snaturarsi per lui, di limitarsi a correre appresso agli avversari solo per recuperare la palla e consegnargliela, nonostante fosse agli albori della sua carriera e di fianco ci fosse l’idolo di sempre.
Un carattere di ferro, d’altronde se sei el mudo la parola la reputi un patto d’onore, un motivo valido per presentarsi davanti al presidente del Boca e far valere i propri diritti, senza fare un passo indietro. Un impegno contrattuale non rispettato fu infatti la causa di una dura battaglia con Macrì, poi vinta da Riquelme, successivamente bandito dalla dirigenza e dalla stampa vicina ai vertici del club.
El mudo non ha mai tradito le proprie idee. Coraggio e determinazione, gli stessi necessari per trattare con quelli che hanno rapito tuo fratello, per prendersi la responsabilità e ottenere la sua liberazione.
Una grande personalità, fondamentale per non farsi intimorire e non rispondere a tono quando Van Gaal prova ad umiliarti davanti a tutti i tuoi compagni, con l’unico scopo di dare prova di autorità senza essere autorevole.  Acquistato dai dirigenti del Barcellona, l’allenatore olandese vedeva in lui un’inaccettabile imposizione, il frutto di una gelosia che però non ha mai scalfito el diez.
Sfacciato, convinto, capace di andare dall’idolo di casa Luis Enrique e suggerirgli di mettersi da parte e far spazio ai giovani della cantera.
Idee pesanti, ma mai campate in aria. Román è el mudo, se dice una cosa è perché la pensa davvero. Non a caso durante la sua ultima conferenza stampa prima del suo ritiro affermò di “non poter rimanere e togliere spazio a Leandro Paredes, non poter prendere un bello stipendio e lasciare che Paredes continuasse a guardarlo.”
I pensieri scomodi valgono anche per se stessi, non solo per gli altri. Parola d’onore, parola de “El mudo”.

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