Nel nome del padre

Cognomi pesanti, gesta irripetibili, quando una parentela può uccidere le velleità di un giovane calciatore

Amore e odio, ammirazione ed orgoglio, ma anche quel paragone ingombrante che non si leva mai di dosso.
Il cognome sulle spalle dei figli d’arte è un macigno che raramente è stato sopportato nel mondo del calcio.
Crescere all’ombra di un mito non è mai facile, specialmente se tuo padre è stato un campione assoluto.
Se da piccolo ti vanti coi tuoi amici a scuola e al parco, rivendicando al motto di “quello è mio padre” la parentela che tanta invidia suscita ai coetanei, da grande l’altra faccia della medaglia diventa insostenibile.
Una lama a doppio taglio, capace di trasformarsi da vanto indicibile a spada di Damocle col passare degli anni. Soprattutto se vuoi fare il calciatore.
Di storie al riguardo ce ne sono molte, la sorte peggiore è stata quella riservata a Diego Armando Maradona Junior, una carriera passata tra Tv, leghe minori e Beach Soccer. Una fine inevitabile per l’erede del Diez più forte di tutti i tempi. Una sensazione di venir considerato come “il figlio scarso di…” che hanno vissuto anche Jordi Cruijff e Daniele Conti, onesti e tecnici giocatori, ben lontani dai livelli celestiali di papà Johan, artefice dell’Arancia Meccanica negli anni 70, e Bruno, miglior giocatore del mondiale in Spagna 82.
E che dire di Kasper Schmeichel, protagonista a Leicester e con la Danimarca, sempre più alla ricerca di emulare il capofamiglia Peter?
Voler bene a qualcuno, che ti ha generato ma ti rovina la vita, o quantomeno la professione, a causa di quel commento così frequente: “Si ma rispetto a suo padre…”
Un sentimento strano, per certi versi simile a quello descritto nel carme catulliano.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento.
Eppure qualcuno che ne è uscito indenne c’è. Il primo pensiero è a Paolo Maldini, capace di sobbarcarsi il peso dei confronti con papà Cesare, superandolo per grandezza e classe, diventando una leggenda in casa Milan.
Un’eccezione che conferma la regola dei figli d’arte, un bacio della morte in chiave calcistica, spesso la parola fine alle velleità professionistiche di giovani primogeniti speranzosi.

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