Il 10 del futuro

Compiere 23 anni e dimostrarne di più, nel calcio non è necessariamente un male

Paul Pogba è spaventoso.
Non tanto a livello estetico per quel suo (pur discutibile) taglio di capelli, quelle decorazioni e quei ghirigori che ha in testa, quanto per il modo di stare in campo.
Descrivere la sua vita ed il suo modo di essere, è semplice. Basta vederlo giocare.
Lunghe leve e facilità di corsa tipica degli africani, che ricordano le origini guineane dei genitori e della sua famiglia. Eleganza e tocco di palla in pieno stile francese, frutto degli anni nella rinomata accademia calcistica del Le Havre. Tiro da fuori, abilità nel pressing e nei tackle, tutte caratteristiche aggiunte al bagaglio personale negli anni al Manchester United, ed infine senso tattico, leadership e voglia di vincere apprese da Conte, Allegri e tutti i compagni juventini.
Un giocatore fatto e finito, che la Juventus ha avuto la bravura di prelevare a parametro zero dallo United e che ora vale almeno 100 milioni. Il più grande rimpianto  della carriera di Sir Alex Ferguson, il calciatore su cui i Red Devils avrebbero rifondato la squadra.
Statuario, imponente, fenomenale. Un quadro di Monet o un’opera di Salvador Dalì, stando all’opinione di Mino Raiola, che quando c’è da parlare dei suoi assistiti diventa sempre un fine conoscitore dell’arte più pura.
Stavolta però non c’è esagerazione, Pogba è un artista sul serio. Le sue giocate sono creazioni, intuizioni geniali di chi interpreta alla perfezione il ruolo di centrocampista moderno. Dinamismo e movenze eleganti, una sorta di danza, un gioco di equilibrio per non cadere, quasi a non voler sporcare il costume di scena. Non disdegnando una bella lotta in fase difensiva.
Questa mano po esse fero o po esse piuma…. una celeberrima affermazione di Mario Brega di cui Paul ha dato una reinterpretazione calcistica.
Quella sensazione di saper sfiorare la sfera senza voler fargli troppo male e accarezzarla con sensibilità, alternata sapientemente a violentissimi tiri dalla distanza che gli sono valsi il soprannome di PogBoom.
Un predestinato, Pogba ha sempre brillato, non è mai stato un comprimario; la sua è la cronaca di un’ascesa annunciata fin da bambino, fin dagli inizi. Superando quell’unico ostacolo, il rischio mai realmente corso di diventare presuntuoso o sbruffone.
Un carattere troppo forte per cedere, modellato da un’infanzia non facile nella banlieu parigina e rifinito nei Red Devils, a contatto con forti personalità e grandi campioni che gli hanno saputo indicare la retta via, che lo hanno messo in riga da subito. Giggs e Rio Ferdinand su tutti.
La vera forza di Paul infatti è sempre stata l’umiltà, una caratteristica così spiccata e al contempo difficile da vedere, una dote posseduta e forse non riconosciutagli a pieno.
Un modo di essere, smarrito a inizio stagione e subito ritrovato, come testimoniato dalle prestazioni ritrovate, da quella capacità di caricarsi la squadra sulle spalle in momenti difficili e giocare con maturità impressionante, quasi in controtendenza con quei capelli bizzarri, un vezzo dovuto alla gioventù, che sta a lì a ricordarci la giovane età e per quante stagioni ancora il futuro del calcio europeo sarà tutto il suo.
Sì perché in fondo il francese ha solo 23 anni, nonostante un palmares ed un numero di presenze tra club e nazionale da far invidia a molti colleghi. Con un possibile pallone d’oro nelle corde.
Menomale che ci sono quelle creste, per fortuna vediamo quei ghirigori, unico “sintomo” di gioventù di un fenomeno ormai maturo e conclamato come Paul Pogba.

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