Quando vincere è l’unica cosa che conta, il rischio è non saper perdere

Una Juventus tanto bella in campo, tanto brutta fuori; Morata bene, Marotta meno

Non c’è dubbio. La Juventus all’Allianz Arena ha fatto una grande partita, dimostrando, al cospetto di una delle migliori squadre d’Europa, tutta la propria forza.
Una formazione ben allenata, organizzata tatticamente e tecnicamente, con grande grinta, forza di volontà ed idee ben chiare. La compagine bianconera ha dato un’ottima impressione, legittimando chi non vede molta distanza con le altre big europee.
Per certi versi gli uomini di Allegri avrebbero anche meritato la qualificazione i quarti, anche se una tale affermazione ha tutti i crismi di una sentenza che viene più dalla pancia del tifoso appassionato, che dalla ragione di un giornalista obiettivo. Si può davvero dire infatti che una squadra meriti il passaggio del turno subendo 6 reti complessive tra andata e ritorno?
Probabilmente i campioni d’Italia in carica, complice lo splendido cammino dello scorso anno, posseggono ora un blasone europeo maggiore, persino rispetto allo scorso maggio, quando ci si giocava il titolo di campioni d’Europa.
Proprio per questo però, urge una riflessione.
I bianconeri all’estero sono visti con più rispetto, la loro figura è entrata a far parte di un’élite calcistica che li riconosce, ma all’interno della quale forse la Juventus non riconosce ancora se stessa.
Le parole di Marotta ieri sera sono fuori luogo, stonano con la bellezza dei suoi atleti nel rettangolo verde. In Europa le chiacchiere da bar non sono ammesse, l’errore arbitrale c’è e fa parte del gioco. Soprattutto se come ieri si tratta di un qualcosa di veniale.
Fuorigioco millimetrico, per di più ininfluente ai fini del punteggio. La Juventus sarebbe andata sul 2-0, cosa che è avvenuto poco dopo col gol di Cuadrado, praticamente annullando l’effetto penalizzante della bandierina del guardalinee.
“La Juve è troppo forte per potersi lamentare: quando si perde è giusto complimentarsi con gli avversari e non campare scuse. I bianconeri sono una squadra impressionante”.
Le parole di Guardiola sono emblematiche, sono il segnale di chi apprezza sinceramente il rivale ed è dispiaciuto per le polemiche. Non per il suo Bayern, ma per il rivale stesso, che forse ha perso un’occasione non tanto per qualificarsi quanto per “disitalianizzarsi”, ossia scrollarsi di dosso quel tipico atteggiamento di chi non trovando macchie su una prestazione perfetta vede nel direttore di gara l’unico capro espiatorio.
D’altronde quando fai del “vincere l’unica cosa che conta”, si rischia di non saper più perdere. Di non saper stringere la mano a chi, nonostante tutto, si è dimostrato più bravo.
Una capacità fondamentale tra gentlemen del calcio, quei rappresentanti delle big europee in cui la Juventus vuole e ha l’obbligo di riconoscersi.

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