Futbol, Apodos y Papelitos

Il calcio in Argentina, uno spaccato di vita quotidiana
Si gioca come si vive….
Nelle parole pronunciate da Nicolas Burdisso durante una riunione tecnica a Trigoria qualche anno fa, c’è tutto il modo di intendere il calcio in Argentina.
Tecnica, tenacia, passione sugli spalti, ma anche in campo. Giocarsi tutto su ogni pallone, inseguirlo e calciarlo come se fosse l’ultimo della propria esistenza.
El fùtbol albiceleste è qualcosa che va al di là di un semplice gioco.
La partita è una battaglia da vincere, l’avversario un nemico da superare, il compagno di squadra un fratello da difendere ad ogni costo. Capita così di vedere 22 uomini capaci di entrate al limite del codice penale, scambiarsi un bacio sulla guancia per darsi l’in bocca al lupo.
Il senso d’appartenenza spiccato è il fondamento su cui si basa tutto, il quartiere che si fa squadra, rappresentante massima del barrio.
Differenza sociali, economiche e politiche, un mix bollente che si mescola nel calderone di arene fatiscenti quanto incandescenti. Cori e coreografie, curve che al momento del gol vengono giù verso il campo. Stadi che tremano, tranne uno: la Bombonera no tiembla, late! (non trema, batte!)
Manti erbosi assolutamente imperfetti, ricoperti da quei papelitos colorati, coriandoli innumerevoli che caratterizzano da sempre il calcio a certe latitudini.
Eppure lo spettacolo è assicurato. Non serve il GPS per vedere i battiti impazziti del cuore dei giocatori, che all’unisono col proprio pubblico si battono per la vittoria.
Un’unione di intenti pazzesca, un modo di assistere alle partite che necessita una partecipazione maggiore della semplice visione o del tifo moderato. E’ difficile trovare semplici tifosi, in Argentina essere un hincha della propria squadra è quasi obbligatorio. Come si fa ad assistere ad un match senza cantare a squarciagola? Come si fa a farsi rappresentare da alcuni giocatori e al tempo stesso chiamarli solo per cognome?
Non si può. Troppa freddezza, troppo distacco.
E’ per questo che ci sono los apodos, i soprannomi. Ogni giocatore ne ha uno, dovuto ai più disparati motivi: fisici, stilistici oppure legati ad un episodio del passato.
El nino, el kun, el coco e chi più ne ha più ne metta.
C’è perfino chi ne aveva più di uno, un privilegio di cui godono solo le grandi leggende. Non a caso Maradona ne ha ricevuti ben 5: el Diez, El pelusa, D10S, El Pie de Oro e Barrilete Cosmico. Oltre al più classico el Diego, perché il cognome in questo caso è come se non esistesse, quelle cinque lettere bastano e avanzano. 
Insomma, si passa dal mudo, un grande classico accostato a più calciatori, fino ai più particolari Brujita (Veròn) e pipita, un nomignolo che dalle parti di Napoli hanno imparato a pronunciare piuttosto bene, almeno per 36 volte in stagione.
Il calcio argentino, un mondo in cui non ci si gioca la vita, ma è il modo di vivere che si rivela durante il gioco.

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