Fair Play immaginario

Fatta la legge, trovato l’inganno: come una norma è riuscita a perseguire l’esatto contrario dello scopo per cui era nata
L’idea di Fair play finanziario nasce dal fatto che le disparità tra le società, nel calcio moderno, sono sempre più spesso dovute a un fattore economico piuttosto che a uno sportivo. Approvato all’unanimità nel settembre 2009, il Comitato Esecutivo Uefa ha prefisso diversi obiettivi:
  • Introdurre più disciplina e razionalità nelle finanze dei club calcistici;
  • Ridurre la pressione su salari e trasferimenti e limitare gli effetti dell’inflazione;
  • Incoraggiare i club a contare solo sui propri profitti;
  • Incoraggiare investimenti a lungo termine sul settore giovanile e sulle
  • infrastrutture;
  • Tutelare la sostenibilità a lungo termine nel calcio europeo;
  • Assicurare il tempestivo pagamento dei debiti da parte dei club.
In questo breve stralcio di un vecchio pezzo di Luca Missori, ci sono tutti gli ingredienti gettati nel pentolone del fair play finanziario, più immaginario che reale.

I buoni propositi esposti sono rimasti solamente tali, la riforma fortemente voluta da Michel Platini non ha fatto altro che accentuare la forbice anziché ridurla.
L’idea di creare un calcio virtuoso, in cui premiare le abilità strategiche e manageriali, è stata sopraffatta da una legge della giungla versione nuovo millennio, in cui non vince il più forte ma il più ricco, che poi per certi versi è la stessa identica cosa.
Facta lex inventa fraus, anche i latini lo sapevano bene.
Fatta la legge, trovato l’inganno. Funziona così il mondo dei furbi, funziona così il mondo del calcio.
Mentre le squadre di fascia media- medioalta si affannano a vendere i loro migliori giocatori per avere un bilancio perfetto ed evitare le sanzioni, le big degli sceicchi riscuotono grossi contratti di sponsorizzazione dall’azienda (e che aziende…) di famiglia. Introiti su misura, cifre astronomiche necessarie ad avere un bilancio sano, nonostante le folli spese per i campioni da acquistare. Come quando noi prendiamo 20 euro e li passiamo da una tasca all’altra….
Risultato? I club degli sceicchi e con proprietari ultramilionari continuano a spendere, i team subito sotto devono vendere; l’effetto assolutamente opposto a quello per cui la riforma era stata messa in atto.
Se proprio il bilancio non quadra, non c’è problema. La sanzione da qualche milione d’euro dell’Uefa è solo una goccia nel mare dei petrodollari arabi, la limitazione dei posti in rosa una bazzecola, un prezzo che vale la pena pagare.
Tra l’altro è piuttosto paradossale che le eccessive spese di un club, vengano punite imponendo una multa, quindi un ulteriore esborso monetario del club stesso. Perché punire colpire economicamente un team che da quel punto di vista o è talmente debole da versare in condizioni critiche, o è talmente forte da disinteressarsi di una banale sanzione pecuniaria? Non ha senso.
In questa estate però, si è assistito ad un nuovo modo di eludere la norma. O quantomeno ad un tentativo, considerando l’esito negativo dell’affare.
Lo Sporting Lisbona ha infatti rifiutato l’offerta da circa 40 milioni di euro più bonus messa sul piatto dalla squadra cinese del Jiangsu Suning, che avrebbe poi prestato Joao Mario all’Inter aggirando così il fair-play finanziario.
Gli asiatici, proprietari di entrambi i club, hanno provato a presentarsi ai tifosi nerazzurri in grande stile, praticamente comprando un calciatore da oltre 40 milioni di euro con un impatto nullo sul bilancio della società meneghina.
Operazione non riuscita per la prematura chiusura del calciomercato cinese, ma comunque utile per tracciare una nuovo modo di fare acquisti e percorribile con più calma in futuro.
Facta lex inventa fraus, un proverbio antico ma sempre attuale. Anche per il fair play finanziario  immaginario.

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