Totti in prosa

Omaggio ad un vero numero 10, ultimo superstite di un calcio che non c’è più
Illuminare il gioco, usare il piede come un pennello dipingendo calcio. Fare istintivamente le cose razionalmente migliori, più utili alla causa, per trarre vantaggio in quel rettangolo verde, una seconda casa in cui ha visto alternarsi frequentemente altri 21 volti. Senza che potessero intaccare la certezza di quella fascia al braccio e quella maglia giallorossa addosso.
Totti è tutto questo.
Anche a 40 anni, perché il tempo ormai si è arreso con chi ha preso la clessidra e l’ha svuotata di quella sabbia che scorre per altri, ma non per lui, il festeggiato più festeggiato del mondo del calcio, che tutto si è mosso per fare gli auguri. A partire da Messi, passando per Maradona e chiudendo con Cr7.
Francesco è il sogno di un bambino che spera di giocare per la squadra tifata, è la passione per l’aspetto ludico del calcio, è quella capacità incredibile di tradurre la tattica in poesia, di unire efficacia e fantasia, una peculiarità tipica dei fuoriclasse. Fare cose tanto utili quanto belle da vedere, divertendo gli altri, ma soprattutto sé stesso.
Un giocatore unico, ma anche tanti giocatori in uno, un numero 10 di nascita, 9 negli anni della scarpa d’oro, 11 nel periodo zemaniano ed 8 all’occorrenza. Il degno successore di Roberto Baggio, l’ultimo vero 10 della nazionale italiana.
Godiamocelo fino in fondo perché senza di lui non vedremo più quei colpi geniali, non seguiremo con gli occhi quelle traiettorie di un pallone che volteggia, tracciando in aria arcobaleni che arricchiscono cromaticamente un mondo del calcio che si tinge sempre più di grigio, in cui l’inventiva e l’estro lasciano spazio a intensità e fisicità.
Passaggi smarcanti, assist pregevoli, segnature da bomber vero. Accarezzare il pallone di destro o colpirlo veementemente di sinistro non ha mai fatto troppa differenza,  non stupisce che nel repertorio di questo campione ci siano gol fantascientifici come quello al volo di sinistro a Marassi o un dolce cucchiaio col piede naturale a San Siro.
Col coraggio di tirare un rigore decisivo piazzandolo all’incrocio nel 2006, o con la sfrontatezza di batterlo con un cucchiaio, ma col medesimo risultato.
Reti che hanno contribuito a renderlo apprezzato da tutti, a garantirgli quel consenso pressoché unanime.
Un avvenimento raro, davvero difficile da raggiungere per uno che ha deciso di dipingere i suoi arcobaleni sempre sotto lo stesso cielo, quello su cui si affaccia la cupola di San Pietro.

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