La Paz...zia di giocare in Bolivia

Lo stadio Hernando Siles, il luogo dove la Play Station diventa realtà

Avere una squadra all’altezza.
Solo in casa. Non nel senso più auspicabile della frase. La Paz, Bolivia. La pazzia, boliviana.
Con gli oltre 3600 metri sul livello del mare, lo stadio Hernando Siles è nel corso degli anni diventato un fortino quasi inespugnabile, un luogo in cui ad esser rarefatta non è solo l’aria che si respira, ma anche la consueta gerarchia calcistica.
Un cimitero dei giganti, Argentina e Brasile lo sanno bene.
Una sola vittoria in quattro gare per l’albiceleste, protagonista anche di un umiliante 6-1. Nessuna vittoria in questo stadio per i verdeoro.
Un incubo che si fa polemica, e viceversa.
Un rompicapo, un argomento di dibattito scientifico. Una partita di calcio della nazionale verde si trasforma sempre in qualcos’altro. Alle ultime notizie sulle probabili formazioni, i prepartita preferiscono le parole degli esperti di fisica e di quelli in medicina, pronti a spiegare le motivazioni per cui assistere ad un match a La Paz assomigli alla visione di un match alla Play Station.
Un’esperienza terribile, un “tamburo che ti suona di continuo nelle orecchie facendoti venire mal di testa”, parola del valdanito Hernan Crespo.
Tiri da 40 metri, traiettorie surreali, una velocità della sfera aumentata, comparabile a quella determinata dal telecomando di un videoregistratore che si muove più rapido del reale, con meno pazienza.
“Ma perché? “
L’aria scarseggia, c’è una pressione atmosferica più bassa del solito e la palla incontra una resistenza che le consente di viaggiare più velocemente, sia nei passaggi che nelle conclusioni a rete. Un attrito quasi irrisorio se confrontato alle normali condizioni di gioco, che rende difficoltosi soprattutto i tiri ad effetto. Da qui la laconica constatazione di uno sconsolato Passarella al termine della sconfitta della sua Argentina nel 96: “La palla non gira, non rotola” .
Una differenza sostanziale, pesante, ma di per sé non così svantaggiosa. Il reale motivo di discussione riguarda il discorso fisico.
Nausea, vomito, mal di stomaco o pesanti cefalee. Trovarsi all’improvviso a 3000 metri sul livello del mare comporta non poche problematiche per chi non deve svolgere particolari attività, figurarsi per chi deve giocarsi l’accesso ai mondiali.  In teoria ogni mille metri, a salire o scendere, necessitano una settimana di adattamento, un qualcosa impensabile con i ritmi del futbol moderno.
C’è così chi si accontenta di pochi giorni, chi invece viaggia sul filo del minuto, arrivando a La Paz poco prima di giocare, andando via il prima possibile. Strategie diverse, spesso con medesimi risultati.
Mascherano e compagni (Messi era squalificato) hanno persino tentato (vanamente) di combattere i problemi legati all’altitudine con il viagra, in quanto farmaco non considerato dopante e vasodilatatore.
Mezzi particolari, folli rimedi di una follia irrimediabile.
La Fifa, rendendosi conto di tutto ciò decise, il 27 maggio 2007, di vietare che gare internazionali potessero svolgersi a più di 2500 metri d’altezza, causando  inevitabili proteste. Una campagna di dissenso forte, guidata dal presidente Morales in persona portò poi il massimo organo internazionale ad annullare tale decisione per la gioia boliviana e la disperazione di quasi tutte le sudamericane, costrette a convivere con l’incubo di La Paz e con quella sensazione di non essere “all’altezza” dello stadio Hernando Siles.

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